lunedì 8 giugno 2009

Le apparizioni dell' Angelo nero: chiesa di San Alessandro



Gli angeli di Milano sulle nostre teste. Solitari, a
coppie, con le ali spiegate e le braccia aperte sui fron-
toni delle chiese. Angeli pietosi che ci attendono
pazientemente al cimitero. Oppure in tanti, in un fer-
mo inseguimento, sulle balaustre dei palazzi del Sette-
cento. Amorini scolpiti nei fregi sui portoni in stile
liberty o dipinti sulle facciate di case signorili. In eter-
na e gioiosa rincorsa sopra la testa dei tanti che affolla-
no gli stretti marciapiedi.
Pazienti, silenziosi, invisibili ai più.
È sufficiente alzare la testa e gli angeli compaiono,
sempre pronti a portarci su con loro.
In Piazza S. Alessandro sono in sette a suonare le
trombe sopra il frontone dell’omonima chiesa e da lì
dominano la folla che invade il basso della città, le stra-
de, i marciapiedi.
Sono angeli bambini che danzano sul tetto della città.
Sotto di loro c’è la ressa dei giorni festivi che prece-
dono il Natale: gente che si affretta a comprare regali,
ombrelli che si incastrano, piedi che scivolano sulla
melma marrognola che è la neve di Milano dopo poche
ore, corse per attraversare il semaforo, schizzi di fango
da evitare.
Poi giù nei sottopassaggi, nelle gallerie, nei tunnel
del metrò e del passante ferroviario, inghiottiti dalla
notte del mondo metropolitano, sbattuti al centro di
carrozze stracolme di persone che guardano per terra, i
propri piedi, le scarpe, il fondo del mondo.
Lassù stanno gli angeli, bianchi, muti e instancabili.
Eppure il pomeriggio del quindici dicembre uno di
loro era scappato via.
Non ero nuovo allo spettacolo dell’immobilità, ulti-
ma moda per la questua, che vede le nostre piazze
popolarsi di provvisorie statue: mummie egizie, bronzi
di Riace, discoboli olimpici, vampiri transilvani, gla-
diatori romani. Basta un costume, il volto dipinto di
un colore uniforme - il bianco, l’oro, il nero - e lo stu-
dio di una posizione immobile da tenere per molti
minuti. È l’immobilità da statua ad attirare i curiosi,
più che la mascherata. In una cultura in cui il movi-
mento è un valore assoluto, la velocità una fede, la fre-
nesia una religione, la gente è sopraffatta da un sotter-
raneo desiderio di statuarietà. Essere fermi, irremovibi-
li, piantati in un punto, congelati nella posizione che
sentiamo nostra, e dirlo al mondo, apertamente, sfron-
tatamente, immobilmente. Allora nel curioso che si è
fermato a osservare la provvisoria statua scatta la molla
dell’invidia, vuole distruggere quello che non riuscirà
mai a ottenere, e cade la moneta nel piattino. La statua
si anima con gesti lenti e pomposi, fa l’inchino, ringra-
zia e riprende la sua posizione.
Era quello che facevano quel pomeriggio le sette sta-
tue angeliche che popolavano Piazza S. Alessandro, in
un’allegoria che intendeva imitare il frontone della bel-
la chiesa del milleseicento. Feci cadere cinquanta cen-
tesimi nel piattino posto ai piedi della settima e attesi.
La statua scappò, imboccando Via Zebedia.

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